Biografia
Presentazione
La sostenibile leggerezza dell'apparire
di Caterina Virdis
Penso che un sogno così
Bisogna evocare il cielo di una canzone e l'azzurro del pomeriggio troppo lungo di un'altra per collocare adeguatamente gli Aquiloni di Piermichele Denti. Essi volano infatti nella profondità di una realtà nascosta, simile a quella della Kindersinfonie, in cui, quando i bambini si addormentano, si svegliano i giocattoli.
Il parallelo è meno superficiale di quanto possa apparire. Nell'operetta viennese settecentesca, di autore incerto, la partitura, che rispetta le regole compositive classiche e si articola in tre prevedibili movimenti, deve peraltro essere eseguita con l'intervento di strumenti insoliti e bizzarri, come uno speciale rullante, una raganella e piccoli fiati che imitano il cuculo e la quaglia, tutti riconducibili al mondo del gioco. Non altrimenti, le composizioni di Piermichele Denti sono veri e propri quadri, dipinti tradizionali eseguiti con cura e nel rispetto delle proporzioni, delle cromie e delle scansioni luministiche rituali. Ma gli attori della narrazione inclusa sono costituiti da piccoli oggetti tridimensionali provenienti dal modellismo. La trama del racconto strampalato è affidata a questi ultimi. È così che in Per la Colchida prenotare la fermata, uno stralunato Don Chisciotte, appiedato, sembra attendere un passaggio su un velivolo antiquato.
Ma ci sono altre spie, in questi quadri, che alludono alla dimensione fantastica del sogno e della realtà parallela così come compaiono in varie opere della cultura visiva. L'aquilone non vuole pensieri, nella dichiarata bipartizione giallo-blu e nel silenzio invadente della composizione, rimanda insistentemente a I corvi sul campo di grano di van Gogh e alla conseguente citazione in Sogni di Akira Kurosawa. In Torno subito la sospensione richiama le atmosfere di Hopper, rafforzate, sulla spiaggia, dalla citazione degli zoccoli del doppio Ritratto Arnolfini di Van Eyck; ne I Mille, in cui è rappresentato un Garibaldi paradossalmente tutto solo, molti aquiloni ascendono al cielo in file ordinate come gli omini in certi quadri di Magritte e nel finale di Miracolo a Milano di de Sica.
Infine, la dimensione del sogno è sempre denunciata dal punto di vista altissimo "più in alto del sole ed ancora più su" ...nel blu dipinto di blu.
Carlottavo era stancato
Nell'antica canzoncina pratese che tanto piacque a Malaparte, il potente sovrano di Francia che era sceso in Italia fra squilli di trombe da conquistatore, sulla via per Firenze sceglie Prato per soddisfare un impellente bisogno fisico. Il verso rimato si fermò a pisciare a Prato propone una dissacrante trasposizione del regnante dai fasti della storia alla corporalità bassa, secondo un processo, tipico della parodia, che Bachtin definì "lo scoronamento dell'eroe".
In opere recenti Piermichele Denti ha preso a costruire dipinti basati su un esercizio di transcodificazione ben noto alla cultura, a quella letteraria quanto a quella visiva, consistente nell'ironica manipolazione di originali consacrati, che copia e ripropone in scala, vale a dire nella contaminazione e profanazione di icone apparentemente intoccabili.
Dunque, le cupe atmosfere di Nolde divengono sfondo di incursione aerea da parte di modellini di velivoli primonovecenteschi, o altrimenti, come in E voila, ospitano un piccolo aquilone liberato come un piccione da un militare pellegrino. Il Führer compare certamente, di spalle e a gambe larghe, ne Il viandante, a insidiare la credibilità di un celebre dipinto di Friedrich (Il viaggiatore sopra il mare di nebbia), del quale annulla, nella translitterazione parodica, la sublime carica romantica.
Ma ancora più interessante è la scanzonata combinazione di elementi che attualizza il dipinto originale mediante l'inserimento di un "doppio senso", meccanismo principe della decontestualizzazione parodica. Si veda il caso delle due versioni di Et in arcadia ego, sofisticato dipinto barocco nel quale i due pastori di Guercino sorprendono un teschio, emblema della morte invincibile pur nel ridente regno di Arcadia. Questa volta Denti sfrutta l'attenzione e la sorpresa dei personaggi presenti nel dipinto originale, indirizzandola però nei confronti di due differenti inserti tridimensionali di produzione cheap, entrambi evocanti i piaceri della vita. Sicché, non solo si perde totalmente la meditazione sulla vanità dell'uomo e del mondo che il pittore seicentesco aveva proposto, ma l'iconografia dei due pastori si sovrappone e confonde con quella classica dei due vecchioni libidinosi che spiano Susanna.
Non altrimenti, San Filippo Neri, pur continuando ad essere contrassegnato dai gigli nella sua purezza, viene folgorato non da un'immagine sacra, come nell'originale di Guercino, ma da una sorta di Liza Minnelli nell'ambiguo costume che indossa nel film Cabaret.
In definitiva, la capacità combinatoria di iconografie e materiali
dei nuovi testi pittorici proposti da Denti, che si rivela esperto in arguzie, effetti di pastiche e ammiccamenti a chi conosce la storia dell'arte, più
che inserirsi semplicemente nella corrente storica del citazionismo, non si limita a puri esercizi di forma e attiva maliziosamente interessanti meccanismi di inversione di senso . Una risposta molto personale alla Transavanguardia.
Cerco un centro di gravità permanente
Rivisitare il grande archivio delle forme per rimetterle in gioco, del resto, non è solo attitudine postmoderna e citazionista. è un processo da sempre presente in quella che i più chiamano storia dell'arte e che a me piace chiamare storia delle forme stesse. La discendenza di Raffaello da Perugino, ovvero i prestiti di Canova dalla scultura ellenistica romana e, meno spiegabilmente, da Bernini, sono esempi ben noti di questa eterna ghirlanda di rimandi. Naturalmente, la differenza sta nelle intenzioni, nel progetto. Nella propensione a decostruire un po' cinicamente le certezze del passato o a costruirne proposte interpretative.
Credo che in alcuni esercizi formali che il nostro artista ottiene sovrapponendo foto di ombre a sfondi geometrici sia il fantasma di Morandi ad affacciarsi poeticamente.
Ma che dire quando, come negli oggetti tridimensionali o nei minuscoli gioielli in argento, Piermichele Denti mediante le citazioni convoca allo stesso modo e nello stesso oggetto postmoderno e modernismo?
Siamo di fronte ad assemblaggi di volumi e fili metallici presi in un continuo bilanciarsi tra rigore plastico e volatilità fantastica. L'alternanza di piani riposati e di punte aggressive, inoltre, trova riscontro nella contrapposizione fra la nudità dei materiali e la seduzione della colorazione. Oggetti d'uso oppure objets d'art?
In alcune di queste realizzazioni domina ancora una volta la dimensione ludica, sicché si direbbe di ritrovare accenni a esperienze anche lontane, a Depero, o a Man Ray. Più consistente e continua la componente costruttivista, che guarda a Gabo, a Pevsner, ad Arp per l'invenzione di trastulli spaziali sempre assai accurati, eseguiti in legni levigatissimi e finemente colorati, in resina o in metalli pregiati. Ma la sorpresa è nei dettagli: piccole trottole ingegnose rendono plausibili gli equilibri instabili di piani disassati, che contraddicono le logiche dei "gesuiti euclidei" citati nella canzone di Bennato. Mentre le ricuciture vistose alludono alle sorprendenti sfide alla stabilità proposte dalle geometrie sconvolte di Frank Gehry.
Specchio delle mie brame
Nei dettagli che parcamente abitano le fantasie paesistiche con aquiloni dipinte da Denti non è raro trovare la rappresentazione di ombre portate, che tendono ad equiparare l'aggetto plastico delle forme evocate dalla pittura alla tridimensionalità fisica degli oggetti applicati. Un procedimento che ha origini antiche, addirittura nel barocco, e che trova il suo trionfo in affreschi del Tiepolo, come quello dello scalone di Würzburg, dove le figure dipinte al bordo della cornice sembrano prendere vita facendo pencolare gambe e piedi in gesso sopra la cornice stessa. Un modo particolare ed efficace di ricordarci che la pittura rispecchia gli oggetti. Certo, l'illusionismo della pittura solo metaforicamente può essere paragonato a quella dello specchio. E allora perché non usare addirittura un metodo di rappresentazione a specchio per il genere che ha diviso solo con il ritratto il primato della rappresentazione "al vivo"? Lo specchio della favola, evocando l'effige di Biancaneve, restituisce alla Regina che lo interroga una verità più profonda di quella apparente costituita dal suo volto: è la fanciulla la più bella del reame. Analogamente, le nature morte di Piermichele Denti, vegetali che a volte flottano nel vuoto, oppure si accomodano classicamente "in posa" (secondo la denominazione nordica originaria, stilleven), si specchiano nell'obiettivo fotografico divenendo così più vere del vero.
Talora la presa ravvicinata esalta la vitalità del soggetto, che sembra "guardare in macchina", esprimendo tutta la sua carnosità (Cavolo rosso, ma se non sbaglio è un radicchio), oppure esibendo la porosità secca e la scorza impoverita dal tempo (Mandarina). Altre volte Denti si fa prendere la mano nuovamente dal gioco delle citazioni e allora realizza composizioni che piacerebbero a Roberto Longhi, rimandando a quelle nature morte devote del primo Seicento lombardo che il critico grandemente apprezzava (Vassoio d'argento), oppure, nelle foglie secche, (Natura morta), commentando l'inesorabile trascorrere del tempo, richiama senza pudore la celebre Fiscella di Caravaggio ora alla Pinacoteca Ambrosiana.
Ma solo in un gioco di specchi.